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“Calpestami”:
 Shūsaku Endō, Silenzio[1].

Di Matteo Fortuzzi*

Padre Ferreira ha abiurato: questa la notizia che dei marinai olandesi hanno mormorato nelle orecchie di Roma. A seguito di terribili torture, ha rifiutato la Verità per salvare la pelle. Non si tratta del fallimento di un singolo uomo, illustre teologo di noto ardore missionario: è la sconfitta della fede e dell’Europa intera. La vittoria è delle autorità giapponesi che, con ottime ragioni, hanno visto nelle missioni della Chiesa la longa manus del potere politico dei regni europei. Il disonore per la Chiesa è bruciante, ma non tutti credono all’abiura del gesuita Ferreira: due suoi allievi, i gesuiti Rodrigues e Garrpe, non possono accettare che il loro ammiratissimo maestro Ferreira, davanti alla possibilità di un glorioso martirio, abbia strisciato come un cane davanti agli infedeli. Per conoscere la verità non rimane che partire per il Giappone. Forti della loro fede, colmi del volto di Cristo che, vittorioso della morte, infonde vigore e forza ai suoi discepoli, non temono le persecuzioni che dovranno fronteggiare; il martirio è un’eventualità che il missionario deve saper accogliere. Ma non possono neanche lontanamente immaginare i piani che il Giappone ha in serbo per loro. Rodrigues è ignaro del volto di Cristo che incontrerà in fondo al cammino. Volto che a Shūsaku Endō progressivamente appare nei passaggi chiave del percorso di una vita restituitoci dai suoi scritti. Tra questi, “Silenzio” (1966) è il momento in cui ad Endō si rivela una Verità che illumina di senso l’intero suo tragitto, ripetutamente scisso e lacerato dalla reciproca e stridente estraneità che percepisce tra la cultura giapponese e la religione cristiana impostagli dalla madre, con il battesimo, all’età di 11 anni. “Silenzio”, in fondo, è la mano che Endō ci tende per condurci nel significato che per lui ha assunto l’amore di Dio.

È il 1633. I porti del Giappone sono chiusi ai naviganti stranieri (lo saranno per oltre due secoli). Per entrarvi in gran segreto serve l’occhio esperto di chi sa indicare la strada tra le nebbie fitte che, quasi partecipanti all’introversione del Giappone, ne celano le scogliere. La guida risponde al nome di Kichijiro, umile pescatore che Endō ci presenta gettato nell’angolo di una stanza, sopraffatto dal vino, dal vomito e dallo strazio; debole e codardo agli occhi di Rodrigues, intenso è il fastidio suscitato dall’idea che la sua vita sia d’ora in avanti legata a quest’uomo (proprio come Gesù, pensa Rodrigues, che aveva riposto il proprio destino nelle mani di persone che non meritavano fiducia). Si saprà che Kichijiro è un apostata, unico della sua famiglia ad aver abiurato calpestando il fumie, l’immagine di Cristo ritratta su una lastra che gli interrogati devono calpestare – o oltraggiare con lo sputo – al fine di dimostrare la propria estraneità alla religione cristiana. Da notare che nella cultura giapponese l’immagine non è una mera figura rappresentativa della realtà, ma la realtà stessa. Calpestare l’immagine di Cristo equivale ad affondare il proprio piede nel volto di Cristo. Non solo, quindi, il dolore per aver percosso e tradito il Cristo: gli occhi di Kichijiro sono stati visti tra la folla radunata nel luogo in cui i suoi familiari, legati a un palo, sono stati arsi vivi.

Endō fa di Kichijiro il motivo della progressione del romanzo: sono proprio le decisioni e i movimenti d’animo di Kichijiro le molle che spingono gli eventi della storia lungo una spirale sempre più vorticosa.

Sbarcati in Giappone protetti dal ventre oscuro e silenzioso della notte, Kichijiro conduce Rodrigues e Garrpe in un paesino di pescatori e contadini che, privi di guida spirituale da circa sei anni e da altrettanto tempo attenti a non imbattersi nello sguardo mortifero dell’inquisitore, continuano tenacemente a recitare le preghiere e a praticare il battesimo. La vita di questi miseri, soffocati da tasse severissime, che sbarcano il lunario coltivando patate e grano in piccoli campi che si inerpicano su per le montagne e i cui volti straziati ritroverà negli uomini e nelle donne di altri villaggi dove si reca, fa comprendere le ragioni per cui la parola di Cristo, riflette Rodrigues, “è penetrata in questo territorio quale acqua che scorre su un arido terreno, perché essa ha infuso in questa gente un calore umano finora sconosciuto […]. Sono state la gentilezza e la carità umane dei padri che hanno toccato i loro cuori”. Esperendo questa umanità straziata, Rodrigues percepisce una verità che presumibilmente non aveva mai colto prima, e cioè che il “Cristo non è morto per i buoni e i belli. Morire per chi è buono e bello è piuttosto facile; duro invece è morire per i miseri e i corrotti”.

Ma ecco, l’inquisizione non tarda a muoversi. Colpisce i villaggi dove è giunta voce siano passati i due padri. Mokichi e Ichizo, due capi villaggio che hanno guidato la comunità cristiana in assenza dei missionari, rifiutano di abiurare, mentre Kichijiro, per un momento riavvicinatosi a Cristo sullo slancio della presenza dei padri, ora lo calpesta e si allontana dalla comunità cristiana. Ma qualcosa non torna a Rodrigues, che insieme a Garrpe, nascosti tra la vegetazione di una collina non distante dal mare, assiste in preda al terrore al martirio di Mokichi e Ichizo, legati a due croci di legno conficcate tra gli scogli e percossi dalle gonfie onde che sospinte in alto dalla marea condannano i loro corpi all’annegamento. Un martirio atroce, per nulla glorioso, accolto dall’indifferenza del mare nero e del cielo che incessantemente riversa la sua pioggia martellante sulla terra. Tale è l’indifferenza del silenzio di Dio. In più, Rodrigues sa che quelle persone stanno morendo a causa sua e di Padre Garrpe.

Per non condannare la missione all’insuccesso, Rodrigues e Garrpe si dividono per evitare di essere catturati insieme. Rodrigues fugge verso le brumose montagne, luogo in cui ha già trovato rifugio il dolore di Kichijiro. Questi segue Rodrigues, lo raggiunge e gli confessa di non saper dove andare in questo vagare per le montagne. Il cuore di Rodrigues, colto da pietà, lo perdona e lo confessa, riprendendolo con sé. Pochi attimi dopo, degli uomini armati si palesano ed afferrano Rodrigues, portandolo via. “Padre, mi perdoni! Io sono debole. Non sono un uomo forte come Mokichi e Ichizo!” esclama l’amico Kichijiro mentre una guardia, con disprezzo, gli scaglia contro il volto una manciata di monetine d’argento.

Il manipolo di uomini prende il largo: sulla spiaggia ormai distante, tra la bruma serotina, un mendicante corre freneticamente, cade e si rialza sulla sabbia, mentre piangente e urlante lancia delle parole indiscernibili in direzione di Rodrigues: è Kichijiro. Eppure il prete non sente di odiarlo, non nutre risentimento per l’uomo che l’ha tradito nel modo di cui Giuda è emblema. Ben più insopportabile è il silenzio di Dio davanti alle sofferenze del Suo popolo giapponese.

Un giorno, nella prigione in cui è recluso tra un interrogatorio e l’altro, Rodrigues nota nell’angolo di una cella di cristiani prigionieri Kichijiro, magro e fetido, implorante il perdono. “Possibile che Cristo amasse e cercasse quello che era il più sudicio tra gli uomini? […] Chiunque potrebbe essere attratto da ciò che è bello e affascinante. Ma può tale attrazione definirsi amore?”, si domanda Rodrigues mentre, soffocando il disgusto per il lezzo, assolve Kichijiro.

Davanti alla cella di Rodrigues che resiste alla tentazione di abiurare, ai cristiani prigionieri viene chiesto di calpestare il fumie. Kichijiro calpesta e fugge lontano. Per l’ennesima volta, Endō sfida il lettore suscitando in questi un senso di disprezzo per l’assenza di fede dovuta alla debolezza di quest’uomo. La dialettica tra forza nella fede e debolezza umana ha pressoché raggiunto il punto di rottura. Manca solo lo strattone definitivo.

Passano pochi giorni e, infine, Rodrigues viene condotto al cospetto di Ferreira, o meglio di Sawano Chuan. Dopo l’abiura, le autorità giapponesi gli hanno imposto nome giapponese, moglie e figli. Adesso scrive di astronomia, di medicina e contro il cristianesimo. Solo così, dice a Rodrigues, può sentirsi utile al Giappone, palude in cui il seme del cristianesimo non potrà mai portare frutto. Dopo vent’anni di missione in Giappone, prosegue Ferreira, l’unica cosa che ha compreso è che i giapponesi non sanno pensare la trascendenza di Dio: essi chiamano Dio un uomo bello ed esaltato, qualcosa che ha lo stesso genere d’esistenza dell’uomo. Pensano di pregare Dio, ma continuano a pregare il Buddha. Rodrigues, stremato dalle parole del maestro, eppure soddisfatto per non esserne stato ammaliato e ingannato, condanna in cuor suo la debolezza del maestro per aver abiurato.

Tornato alla prigione, in una cella il cui pavimento è ricoperto di urina, sente che il suo martirio è ormai imminente. Ma c’è un rumore che lo tormenta e lacera: il lamento di cristiani che nel cortile della prigione sono appesi a testa in giù dentro a delle fosse. Gli viene detto che hanno tutti già abiurato. Saranno tolti dalle fosse, e quindi salvati, solo se abiurerà. Ferreira gli si pone innanzi; gli dice: “Per amore, Cristo avrebbe abiurato. […] Ora lei compirà l’atto più doloroso d’amore che sia mai stato compiuto. […] I suoi confratelli nella Chiesa la giudicheranno come hanno giudicato me, ma c’è qualcosa di più importante della Chiesa, di più importante dell’opera missionaria: quello che lei ora sta per fare”.

Davanti a Rodrigues viene collocato un fumie di bronzo: il volto contorto di Cristo, incoronato di spine, logorato e scavato perché calpestato di continuo, è lì che lo guarda. Rodrigues solleva il piede; sta per calpestare la cosa più bella della sua vita. Il piede gli duole. Dal Cristo di bronzo una voce: “Calpesta! Calpesta! Io più di ogni altro so quale dolore prova il tuo piede. Calpesta! Io sono venuto al mondo per essere calpestato dagli uomini! Ho portato la croce per condividere il dolore degli uomini”. Il prete posa il piede sul fumie e un gallo canta, come quella volta che cantò per ricordare a Pietro di non essere migliore di Giuda.

In un’intervista, Endō ci spiega che l’apostata Rodrigues, da ora chiamato Okada San’emon per volere delle autorità giapponesi, ha infine trovato il Cristo che non giudica le colpe e la debolezza dell’uomo, ma ne condivide il dolore, l’angoscia, che non solo muore per noi, ma muore con noi. È questo il volto che, da quando ha abiurato, Rodrigues vede ogni sera affiorargli nel cuore. È una nuova consapevolezza teologica. Apostata agli occhi della Chiesa, Rodrigues in verità è più che in ogni altro momento vicino a Cristo, anch’Egli apostata agli occhi della sua gente. L’atto di Rodrigues non è stato di apostasia, ma di conversione.

Attraverso il cammino di Rodrigues, Endō sonda le profondità dei silenzi di Dio, che potrebbero indurre a pensare ad un limite del Suo amore, come incapace di sostenere e soccorrere l’umanità nei momenti in cui questa ne avrebbe maggior bisogno. Come quando davanti a Giuda che, debole nella fede, sta per tradirlo, Gesù è incapace di addurre parole d’amore per la sua salvezza. Una sera, dopo che Rodrigues ha abiurato, in gran segreto Kichijiro bussa alla sua porta per chiedere la confessione. Rodrigues avverte la voce del Cristo sul fumie:

“Io comprendo il tuo dolore e la tua sofferenza. È per questa ragione che sono qui”.  

“Signore, mi ha afflitto il suo silenzio”.

“Io non tacevo. Soffrivo accanto a te”.

“Ma tu hai detto a Giuda di andar via: ‘Quello che devi fare, fallo al più presto’. Cosa accadde a Giuda?”

“Non dissi questo. Come ho detto a te di camminare sulla piastra, così dissi a Giuda di fare quello che era in procinto di fare. Perché Giuda era in angoscia come sei tu adesso”.

*Matteo Fortuzzi è dottorando di ricerca in Filosofia politica, Università “La Sapienza”, Roma.


[1] Milano: Corbaccio, 2017.

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