Intervista a Enrico Giovannini su democrazia e futuro
Al Polo Lionello, il 16 dicembre 2022, in occasione dell’inizio del progetto di formazione politica “Poliedro”, l’ex ministro dei governi Letta e Draghi si è rivolto ai 150 presenti ricordando alcuni pilastri della sfida democratica del Nuovo Millennio
La crescita ha un limite, che fatichiamo però ad accettare, imbambolati dietro la premessa di una crescita economica che non avrà mai fine…
Già nel 1972 il Club di Roma, istituzione fondata da Aurelio Peccei, nel suo rapporto I limiti alla crescita aveva lanciato un grido di allarme, chiedendo un’inversione di tendenza… Dal dopoguerra, purtroppo, ci siamo abituati a considerare il nostro progresso, il nostro stare bene sul Pil, la capacità cioè di produrre beni, beni materiali, cose. Di conseguenza abbiamo organizzato la nostra vita personale, quella delle nostre famiglie, delle nostre città, dei nostri Stati secondo un tale parametro, sopportando gli scarti, le immondizie create da questo sistema. Cinicamente potremmo dire che poco importava se fossero immondizia o persone, o categorie, o nazioni, o popoli… Gli «scarti umani» li ha chiamati papa Francesco nella Laudato si’. Questo sistema non è più sostenibile… Perché non abbiamo tenuto conto che lo sviluppo non è solo una questione economica, ma anche ambientale, sociale e istituzionale, e quindi è comprensivo di pace, visione di futuro, coesione sociale… Per essere sostenibile, lo sviluppo deve fare i conti con la complessità.
Dunque lo sviluppo indefinitamente in crescita non è sostenibile. Quale ipotesi avanzare per permettere al pianeta di rimanere vivibile?
Lo sviluppo, lo sappiamo, non è lineare; le previsioni si sono rivelate sbagliate e l’organizzazione politica, sociale e economica che avevamo conseguentemente costruito hanno cominciato ad andare in crisi, o meglio hanno conosciuto continui shock (Lehman Brother, fondi sovrani, migrazioni…). Le ipotesi per continuare mi sembra siano quattro:
- Business as usual, cioè continuiamo così, tutto si aggiusterà: l’efficienza e il mercato ci penseranno, e se poi le cose andassero male ciò non capiterà a me… Il sistema si aggiusterà da solo;
- Distopia, cioè pensare che tutto finirà male…Elon Musk va su Marte, i ricchi statunitensi stanno costruendo per loro dei bunker in Nuova Zelanda…
- Retrotopia, cioè credere che ogni volta che il mondo ha fatto un salto in avanti, implicitamente abbiamo allargato il concetto di “noi” e diminuito quello di “loro”. Ma con la globalizzazione siamo tutti “noi” e i salti di prima li abbiamo fatti in centinaia di anni e abbiamo avuto il tempo di adattarci con la nostra mentalità. Oggi la maggior parte di noi non ha le categorie mentali per adattarci al cambiamento e quindi: «Fermate il mondo, voglio tornare indietro», cioè a quando non c’era l’euro, a quando non c’era l’Unione europea, Make Usa great again e via dicendo;
- Utopia, cioè utopia sostenibile, cioè credere ancora che è possibile cambiare.
Di nuovo, allora, che fare?
Massimo Salvadori sostiene che «l’idea del progresso di Kant e quello comunista di Engel che vedeva un’idea progressista che avrebbe portato la storia in senso positivo allo sviluppo sempre più grande non regge più», il progresso guidato internamente non esiste. L’unico progresso possibile è quello “difficile” che dobbiamo costruire noi. Sulla bilancia dobbiamo mettere la nostra ragione e la nostra responsabilità per evitare di essere trascinati in una notte da noi stessi creata che potrebbe essere senza ritorno»… Allora, il 25 settembre 2015, il mondo ha deciso quale progresso vogliamo, scrivendo a Rio i “goal 2030”, il futuro che vogliamo, il tutto riassunto in 17 obiettivi e 169 target. Per la prima volta il mondo si è dotato di una visione di sviluppo che integra le diverse dimensioni. Una visione per tutti i Paesi, sviluppati o meno, il che implica una sterzata che sta in capo a tutti: politica, imprese, cittadini, università… con la cooperazione, la governance, la partecipazione… Ecco questi obiettivi:
- Sconfiggere la povertà, porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo;
- Sconfiggere la fame, porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione, promuovere un’agricoltura sostenibile;
- Salute e benessere;
- Istruzione di qualità;
- Parità di genere;
- Acqua pulita e servizi igienico-sanitari;
- Energia pulita e accessibile;
- Lavoro dignitoso e crescita economica;
- Imprese, innovazione e infrastrutture;
- Ridurre le disuguaglianze;
- Città e comunità sostenibili;
- Consumo e produzione responsabili;
- Lotta contro il cambiamento climatico;
- Vita sott’acqua;
- Vita sulla Terra;
- Pace, giustizia e istituzioni solide;
- Partnership per gli obiettivi. Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile (ad esempio, l’economia circolare riduce gli scarti…; la lotta alle disuguaglianze, la lotta alla povertà, alle disuguaglianze di genere migliora la qualità della vita, il benessere delle persone…).
Questi obiettivi non sono un trattato faticoso scritto da governi altri, ma è un’agenda per cambiare il sistema.
Ma finora è stato possibile perseguire qualcuno di questi obiettivi? Lei, come ministro, cosa ha fatto o cercato di fare?
Per prima cosa bisogna aver presente che occorre avere una prospettiva che copra almeno dieci anni! Bisogna capire dove si voglia andare e che riforme si debbano mettere in opera perché si arrivi a destinazione. Sapete quanti emendamenti abbiamo avuto sui 37 miliardi di investimenti nelle infrastrutture e nella mobilità? Zero, perché i deputati non hanno avuto niente da obiettare su queste scelte, perché abbiamo avuto davanti uno sguardo d’insieme di investimenti per i prossimi dieci anni di vita dell’Italia. Abbiamo poi scritto le riforme indispensabili per mettere a terra questi investimenti, seguendo i metodi previsti dagli stessi obiettivi di Rio. Abbiamo chiamato il nostro ministero “Infrastrutture e mobilità sostenibili”, al plurale, perché anche le infrastrutture le abbiamo volute sostenibili, non solo la mobilità! Anche le infrastrutture hanno avuto la valutazione economica, ma anche ambientale, sociale istituzionale e di governance. La riforma è stata sostanzialmente quella di assegnare un punteggio ad ogni investimento infrastrutturale, secondo i criteri di un G20 di alcuni anni fa sulle infrastrutture sostenibili. Avevamo deciso di chiamare il ministero non più “dei trasporti” ma “della mobilità”: perché non devono importarci quelli che vanno a piedi? La mobilità è una condizione, il trasporto è un mezzo. Potevamo poi fare tutte queste opere senza sentire i territori? No. Allora abbiamo reintrodotto il “dibattito pubblico”: la democrazia non è solo mettere un pezzo di carta dentro un’urna una volta ogni cinque anni, è tanto altro… Un’importante meta che come ASVIS abbiamo raggiunto è stato il cambiamento dell’articolo sull’ambiente, dentro i 12 articoli dei principi della costituzione, quelli intoccabili. Dice ormai l’articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». Adesso con questo miglioramento se ci sarà una legge che va ad intaccare l’interesse delle future generazioni, i cittadini potranno chiedere alla Corte Costituzionale di abrogare quella legge perché incostituzionale.
Quale viatico dare ai giovani di oggi?
Citerei semplicemente Karl Popper: «Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte».