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La Fraternità, perché? Una riflessione di Edgar Morin

Di Fabio Rossi*

 

La fraternità, perché? Letto in questi termini, più che un titolo di un saggio, quella di Edgar Morin parrebbe una provocazione, resa ancora più stridente dal difficile periodo che l’intera comunità umana sta vivendo a causa della pandemia provocata dal virus Covid-19.

Bastano però poche frasi per comprendere che l’intento del filosofo e sociologo francese è ben diverso.

Scorrendo le pagine di questa piccola grande opera edita dalle Edizioni Ave, quello che si scopre è in verità un piccolo tesoro, caratterizzato da quell’ampiezza di confini e da quell’apertura di prospettive che, forse, solo una personalità di spessore quale quella di Morin poteva permettersi.

Come rimarca don Luigi Ciotti nella prefazione all’opera, l’originalità e – aggiungiamo – la profondità della domanda posta da Morin sta proprio nell’ excursus personale e intellettuale del suo autore, che ancora oggi si contraddistingue per la grande curiosità e vivacità ma anche per l’assenza di paletti e demarcazioni tra le diverse aree del sapere.

Più che a un saggio, ci troviamo di fronte ad una condivisione di riflessioni che spaziano dalla storia alla filosofia, dalla biologia all’economia, alle considerazioni sulle nuove tecnologie, senza tralasciare il fondamentale contributo delle esperienze personali; ambiti tutt’altro che slegati ma sottilmente collegati da una domanda che è soprattutto ricerca o, dovremmo dire, riscoperta di un elemento decisivo nello sviluppo della storia dell’uomo, la fraternità appunto.

Morin prova a instillare nel lettore germi di curiosità, piuttosto che rispondere alla domanda, come se quest’opera fosse una prefazione ad un lavoro più ampio; una sorta di conversazione virtuale con il lettore, seminando spunti per un approfondimento multidisciplinare concernente la fraternità.

Egli parte con quello che potremmo definire il più comune dei riferimenti culturali e storici della fraternità, ossia il trittico libertà-eguaglianza-fraternità partorito dalla Rivoluzione francese, segnalando come  l’integrazione tra questi tre termini sia tutt’altro che automatica e che, anzi, l’oblio subito dalla fraternità abbia comportato una contrapposizione spesso  tragica tra i due restanti principi: basti pensare all’esasperato liberismo economico provocato dalla globalizzazione e alle conseguenze in termini di diseguaglianza economica e sociale che ne sono derivate.

La fraternità quindi si ripropone come principio di equilibrio e di combinazione degli altri due; ma Morin già in questa sede pone il primo quesito al lettore:

La fraternità , allora, ci pone un problema: non può essere imposta dall’alto o dall’esterno; non può venire che dalle persone. La sua fonte è dunque in noi. Dove?”  (pag. 14).

Morin , secondo un approccio meramente laico ma non meno efficace, definisce in ogni essere umano la presenza di due “quasi software”  ( per usare le sue stesse parole): il primo di carattere egocentrico legato al “me-io” che consente ad ogni individuo una corretta autoaffermazione; un secondo invece che si manifesta fin dalla nascita attraverso i simboli  più semplici e naturali, un sorriso, uno sguardo, una carezza: è la dimensione del “noi”, del “tu”, che riconosce l’altro e che consente ad ogni individuo di non chiudersi in un nocivo e mortale egoismo. In una parola, ciò di cui parla Morin è la relazione, la vera fonte della fraternità.

Come detto, Morin non si limita ad una riflessione storica e/o filosofica, ma attraversa diverse aree della conoscenza senza alcun disagio, segnalando quelle tracce di fraternità che forse, troppo spesso, sono state tralasciate in nome di posizioni dal sapore dogmatico: un esempio per tutti la riflessione dell’autore in merito alle fonti biologiche della fraternità.

Morin mette in guardia da una lettura superficiale della teoria darwiniana sull’evoluzione della specie, soffermandosi  invece su un dato spesso trascurato, ovvero quanto socialità e solidarietà  siano presenti in natura: forme di associazionismo che si contrappongono in una costante dialettica a manifestazioni di rivalità e conflitto, anche di specie diverse, a confermare come anche nel mondo naturale ogni singolo gruppo, ogni singola società sia il luogo di “una relazione al tempo stesso complementare e antagonistica (dialogica) tra solidarietà e conflittualità” (pag. 23).

Tale dialettica consente a Morin di puntualizzare un altro aspetto importante: guai a pensare alla fraternità come un obiettivo statico da raggiungere e acquisire; la fraternità, se non compresa appieno, ha in sé rischi di chiusura e cristallizzazione.

Citando proprio le figure di Abele e Caino, Morin ricorda come ogni fraternità possa manifestarsi in una rivalità, se a prevalere sono Polemos e Thanatos, intesi come principi, istinti di separazione e distruzione.

La fraternità non può dunque essere principio rigido, piuttosto “deve rigenerarsi senza posa, giacché senza posa essa è minacciata dalla rivalità” (pag. 29).

Quella di Morin però non è solo un’affermazione delle proprie conoscenze o della propria indipendenza di pensiero: è anche testimonianza di quanto e come la fraternità si sia manifestata, incarnata nella sua esistenza. Dalla fuga dalla Francia nel 1940 all’esperienza nella Resistenza e della liberazione di Parigi, dal maggio ’68 alla caduta del muro di Berlino, Morin con grande calore e coinvolgimento trasmette, nelle pagine dedicate a quelle che lui definisce “Le mie Fraternità” (pag.31), quanto tale principio abbia contato nella sua vita, in singoli frammenti, o in modo provvisorio, non duraturo, ma non per questo meno decisivo per la propria esistenza:

Vi sono fraternità durevoli (…) ma vi sono anche dei momenti provvisori di fraternità vissuti nella gioia di una festa d’amici, di un incontro in un viaggio, di una vittoria calcistica, di una manifestazione di strada (…) Queste fraternità provvisorie dovute all’incontro, al caso, all’adesione entusiasta, a dei nonsoché in cui due esseri  si riconoscono più che compagni, sono momenti solari che riscaldano le nostre vite lungo il loro cammino in un mondo prosaico.”( pagg.35- 36)

Giungendo alle ultime pagine, la risposta alla domanda iniziale appare dunque meno complessa e distante da noi: in un mondo che spesso manifesta il suo lato più individualistico e antagonistico, la fraternità appare sempre più come lo scopo e al tempo stesso il mezzo per superare rivalità e conflitti, diseguaglianze e crudeltà.

 

Morin, Edgar. La fraternità: perché? Resistere alla crudeltà del mondo. Roma: AVE, 2020.

*Fabio Rossi, LM in Giurisprudenza, Specializzazione in Economia e gestione aziendale (LUISS School of Management), Master in Etica pubblica (Pontificia Università Gregoriana). Impegnato nel sociale, è Educatore in Convitto Nazionale.

 

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